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La storia del cane domestico - Parte seconda

E' nell'antica Grecia che troviamo i primi testi in cui i filosofi dell'epoca si interessano dei nostri amici a 4 zampe. Nel suo Cinegetico (Κυνηγετικός lett. 'La caccia con i cani'), Senofonte intorno al 4° secolo a.C. parla delle razze presenti all'epoca: il castoriano, il volpinoide, il cane indiano, il cretese.

Successivamente, Aristotele nel suo Historia Animalium descrive cinque tipologie di cani: i Laconiani che erano dei cani da caccia suddivisi a loro volta in levrieri (cani a vista) e cani da fiuto, i molossi da guardia dotati di un fisico imponente che possiamo identificare nei ‘cani indiani’, i cani cretesi che spesso venivano incrociati coi Laconiani o i molossi ed i Melitani, piccoli cani dal pelo lungo (quelli che Senofonte chiamò Volpinoidi). 

I primi ad effettuare una selezione sistematica e, sotto certi aspetti, scientifica dei cani furono gli antichi Romani oltre 2.000 anni fa. Lucius Junius Moderatus Columella, un ex tribuno ispanico che dopo la carriera militare si dedicò all’agricoltura, nel suo trattato ‘De re rustica’, scritto in 12 volumi nel primo secolo d.C., tratta anche delle varie tipologie di cani utili e non all’agricoltore. In questo suo scritto possiamo trovare cani probabilmente progenitori degli attuali Corso (Per la villa bisogna scegliere un custode di corpo grande e grosso, di latrato risonante e acuto, primo perché atterrisca i malandrini facendosi sentire, e poi anche con lo spavento che incute la sua vista, e qualche volta senza neppure farsi vedere, mette in fuga chi tenta di rubare solo con il suo sordo mugolio...) e del pastore maremmano - abruzzese (Sia però di colore unito, il bianco è da preferirsi per il cane da pastore, in nero per quello da cortile, il mantello pezzato non è pregevole né nel primo né nel secondo tipo. Il pastore preferisce il bianco perché è molto diverso dal colore delle bestie selvatiche, e di questa diversità c'è grande bisogno quando si dà la caccia ai lupi, nella luce incerta del primo mattino o del crepuscolo, per non correre il pericolo di colpire il cane al posto della fiera...).

 

 

Sappiamo che gli antichi Romani avevano almeno 6 tipologie di cani, spesso acquisiti dalle popolazioni conquistate: Canis venatici, ovvero cani per cacciare, suddivisi in levrieri per l’inseguimento e la cattura delle prede e segugi per seguire le tracce odorose, Canis villatici cani da guardia di tipo molossoide, Canis pastoralis cioè cani da pastore come il maremmano, Canis pugnaces altri molossoidi utilizzati in guerra o nei combattimenti gladiatorii spesso provenienti dalla Britannia (l’attuale Gran Bretagna), infine, cani da compagnia tipicamente piccoli e condrodisplasici (cioè con gambe corte tipiche del nanismo) con testa lunga o brachicefala, simili ai nostri bassotti o ai pechinesi.

Dopo Columella, molti ancora scrissero sui cani (spesso imitando o copiando Senofonte) a volte in modo negativo a volte positivamente durante il periodo imperiale di Roma, dopo la sua caduta, nel Medioevo e nei periodi successivi. Nel 1570 il fisico inglese John Caius pubblicò in latino un trattato (De Canibus Britannici) sui cani presenti in territorio britannico in possesso di nobili ed agricoltori. Egli elencò innumerevoli razze (una quarantina circa), alcune ancora presenti altre ormai estinte. 

Tuttavia vi è un’abbondanza di testi cinofili solo a partire dal 18.mo secolo ad opera di allevatori francesi e nel secolo successivo da parte degli allevatori inglesi. Il primo a dare una classificazione alle razze canine simile a quella attuale fu il Conte Louis de Buffon sul finire del 18.mo secolo. Tuttavia è nel secolo successivo che i testi diventano più professionali; anche lo stesso Charles Darwin si occupa dei nostri amici a 4 zampe nel suo trattato sulla Evoluzione delle Specie.

Il resto, è storia più o meno nota: oggi abbiamo circa 400 razze riconosciute dall'FCI (Fédération Cynologique Internationale) più svariate decine non riconosciute sparse per il nostro Pianeta.

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